Shiva, il cui nome significa “benevolo, gentile”, è la terza Persona della Trimurti, ma anche la divinità più ricca di sfaccettature dell’Induismo ortodosso. Lo caratterizza la forza di massa o inerzia del guna tamas - sinonimo d’oscurità - quale principio di distruzione e risoluzione.
Sul capo porta una corona di capelli, il cui intreccio superiore ospita, sulla destra un emblema a falce di luna, e al centro la dea Ganga, il celeste fiume Gange disceso sulla terra e le cui acque impetuose furono ammansite dal ciuffo di Shiva. Questi due simboli esprimono qualità di dominio sugli aspetti lunari e di movimento delle acque, riflessi negli aspetti emozionali dell’essere.
Sulla sua fronte, in posizione verticale, brilla un terzo occhio: l’occhio della chiara visione e della consapevolezza dell’Essere. I fianchi avvolti in una pelle di tigre testimoniano la forza delle passioni domate; il suo collo è circondato da un cobra, simbolo di dominio sull’eterna ciclicità del tempo.
Legato al simbolismo del numero Tre, alla sua sinistra il dio reca Trisula, il tridente, asse dell’universo esprimente il potere sui tre stati-guna; l’altra mano tiene la brocca portatrice del nettare dell’immortalità, simbolo di saggezza. Alla sua destra, anche Shiva come Brahma e Vishnu solleva una mano nel gesto dell’Abhaya-Mudra, la promessa di protezione-benedizione; l’altra mano reca Aksamala, il rosario di Rudraksa, simbolo dell’eterno ciclo del tempo.
Come fuoco che tutto divora, egli provoca la morte dissolvendo periodicamente il cosmo, così da consentire la rigenerazione della materia cosmica e prepararla ad una nuova alba dell’essere; all’apparenza terribile, Shiva rivela il suo aspetto benefico e misericordioso nella contemporanea distruzione dell’avidya: l’ignoranza metafisica in cui tutti gli esseri sono immersi, e a causa della quale saranno sospinti verso un nuovo ciclo di nascita e morte. In quest’ordine di cose, è concesso a tutte le creature e alle cose create un periodo di riposo e ritiro dal flusso dinamico, per la durata di un pralaya.
Sulla sua fronte, in posizione verticale, brilla un terzo occhio: l’occhio della chiara visione e della consapevolezza dell’Essere. I fianchi avvolti in una pelle di tigre testimoniano la forza delle passioni domate; il suo collo è circondato da un cobra, simbolo di dominio sull’eterna ciclicità del tempo.
Legato al simbolismo del numero Tre, alla sua sinistra il dio reca Trisula, il tridente, asse dell’universo esprimente il potere sui tre stati-guna; l’altra mano tiene la brocca portatrice del nettare dell’immortalità, simbolo di saggezza. Alla sua destra, anche Shiva come Brahma e Vishnu solleva una mano nel gesto dell’Abhaya-Mudra, la promessa di protezione-benedizione; l’altra mano reca Aksamala, il rosario di Rudraksa, simbolo dell’eterno ciclo del tempo.
Come fuoco che tutto divora, egli provoca la morte dissolvendo periodicamente il cosmo, così da consentire la rigenerazione della materia cosmica e prepararla ad una nuova alba dell’essere; all’apparenza terribile, Shiva rivela il suo aspetto benefico e misericordioso nella contemporanea distruzione dell’avidya: l’ignoranza metafisica in cui tutti gli esseri sono immersi, e a causa della quale saranno sospinti verso un nuovo ciclo di nascita e morte. In quest’ordine di cose, è concesso a tutte le creature e alle cose create un periodo di riposo e ritiro dal flusso dinamico, per la durata di un pralaya.
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