In attesa di celebrare Navaratri, la più grande delle feste Indù durante la quale si adora il Divino nella forma della Madre, proviamo ad approfondire questo aspetto di Dio Madre.
Secondo una teoria non dimostrabile, essendo del tutto assenti fonti scritte o tradizioni orali in merito, la Grande Madre sarebbe una divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie note, in cui si manifesterebbe la terra, la generatività, il femminile come mediatore tra l'umano e il divino. Essa attesterebbe l'esistenza di una presunta originaria struttura matriarcale delle civiltà pre-istoriche, composte da gruppi di cacciatori-raccoglitori.Il culto di una “dea madre” è uno dei tratti che accomuna praticamente tutte le grandi religioni del mondo.
All’interno dell’Induismo, Devi, la “Femmina Divina”, riverita da qualsiasi scuola filosofico-religiosa della eterogenea tradizione indiana, è venerata come una divinità maternale, e, anzi, è addirittura meglio conosciuta proprio con il suo appellativo di “Dea Madre”. Tale culto universale viene spiegato dai Brahmini come istintuale, insito in ogni essere generato che ha come primo impulso quello di amore verso chi lo genera. Così il primo uomo, a quanto pare, contemplando l’idea di divinità invisibile, guardò il volto della donna che lo aveva dato alla luce, la madre protettiva, attenta e amorevole, e scoprì in lei la “divinità assoluta”‘ e la forma manifesta dell’invisibile.
Conseguentemente diede a Devi un ruolo superiore nel pantheon degli dei, le eresse miriadi di templi e intesse intorno a lei innumerevoli miti ed elementi devozionali per invocare la sua protezione e il suo amore verso i “figli”.
Il Rig Veda chiama il potere femminile “Mahimata”, termine che letteralmente significa “Madre Terra”, a tratti la letteratura vedica allude a lei come “Viraj”, la madre universale, come “Aditi”, la madre degli dei, e come “Ambhrini”, colei che è nata dall’oceano primevo.
Intorno al V secolo si nota una sorta di esplosione del tema “maternale” nella letteratura puranica: praticamente ogni testo dei Purana finisce per mettere in luce un aspetto o un altro della Dea Madre, non soltanto ragionando sulle sue qualità astratte, ma anche istituendone un culto formalizzato, nel quale essa viene invocata sì come solo Potere supremo regnante sul cosmo, ma, soprattutto, riprendendo e portando a compimento la concezione già insita nella raffigurazione della dea come “Prakriti”, come incarnazione dell’energia creativa cosmica, così come appare evidente nella formula d’invocazione, “sì, o Dea che riempi e dai forma all’intero cosmo con la tua energia, noi rivolgiamo a te i nostri saluti perché tu sei oltre la nostra comprensione e così più grande di noi”, che le viene rivolta nel Markandeya Purana, tra tutti i testi puranici forse il più elaborato nella sua concezione della Devi e dei riti a lei connessi, tanto da essere considerato ancora oggi il documento più autentico sul culto della dea.
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